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252 | Capitolo decimo. |
— In una polveriera. Queste botti e queste casse sono piene di munizioni. Me ne sono assicurato prima.
— Tabriz, mi hai condotto nel ridotto che abbiamo veduto quando siamo sbarcati?
— Sì, mio signore.
— Siamo entrati nella tana dei lupi di Bukara. Non ci faranno a pezzi ora?...
— Non lo credo. Intanto chiudiamo la porta e spranghiamola giacchè vedo qui delle sbarre di ferro.
È solida e non cederà facilmente ed i bukari, che ci assediavano, non potranno entrare nel corridoio prima di parecchie ore.
— Sei certo che non ci sia nessuno nel ridotto?
— Prima non ho udito alcun rumore e non ho veduto nessuno. Tutti i bukari devono trovarsi sulla riva del fiume in attesa di vederci uscir dalla taverna.
Seguimi, signore. —
Attraversarono il magazzino e si trovarono in una specie di scuderia, dove quattro bellissimi cavalli persiani stavano riempiendosi di erbe profumate.
— Ecco, per guadare il fiume e correre attraverso la nostra steppa, — disse Tabriz.
— E superbi, — aggiunse Hossein.
— Taci, padrone.
— Che cos’hai udito?
— Una porta scricchiolare.
— Che i bukari vengano a rifornirsi di munizioni?
— Non ci mancherebbe altro! —
Vedendo in un angolo un mucchio di fieno abbastanza alto da celarli entrambi, vi si gettarono dietro armando precipitosamente le pistole.
Un passo pesante e cadenzato s’avanzava risuonando entro una specie di corridoio, che poteva anche essere un’opera coperta conducente al ridotto, avendo Tabriz scorto delle feritoie.
Poco dopo un vecchio bukaro, armato d’archibugio, entrava nella scuderia dirigendosi verso il magazzino delle munizioni.
Tabriz aveva fatto atto d’alzarsi, ma Hossein l’aveva subito trattenuto, sussurrandogli:
— Lascialo andare: potrebbe dare l’allarme. Quando si sarà rifornito di palle e di polvere tornerà sulle rive del fiume.