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228 Capitolo ottavo.

— Resta dunque. —

Armarono le pistole e trassero i kangiarri, poi cominciarono a scendere con infinite precauzioni, onde non far franare le sabbie.

Volevano accostarsi fino a tiro di pistola, non dubitando dell’esattezza dei loro colpi.

I due leoni pareva si fossero realmente addormentati, poichè non accennavano ad aprire gli occhi.

Avevano compiuto metà discesa, quando un ruggito, che si era propagata fra le dune, come un colpo di tuono, echeggiò improvvisamente.

Il maschio si era alzato di scatto colla criniera irta, raccogliendosi prontamente su sè stesso, come se si preparasse a spiccare il salto.

— In guardia, signore! — gridò Tabriz.

Non aveva ancora finito che il leone si scagliava contro Hossein che si trovava più in basso.

Il giovane s’appoggiò alla duna e sparò risolutamente, con una calma ammirabile, il suo ultimo colpo di pistola.

Il leone, arrestato per così dire al volo, cadde da una parte, rotolando quasi ai piedi di Tabriz.

— Prendi! — urlò allora il gigante assestandogli un poderoso colpo di kangiarro.

La terribile lama squarciò netto il collo della belva, facendo sprizzare alto il sangue.

Intanto la leonessa, svegliata dal ruggito del compagno e dal colpo di pistola, era pure balzata in piedi, ma ebbe un momento di esitazione, e quello fu la salvezza dei turchestani.

Due spari rimbombarono, seguiti da un ruggito formidabile, poi, dileguatosi il fumo, Tabriz e Hossein scorsero la leonessa a fuggire attraverso la steppa, varcando a gran salti le dune.

— Ehi, loutis — gridò il gigante, volgendosi verso Karaval.

— Hai veduto come noi, uomini della steppa turchestana, sappiamo ammazzare i vostri leoni?

— Sparate meglio dei cosacchi del Don, voi, — si limitò a rispondere il bandito.

— Possiamo riprendere la marcia?

— Sono ai vostri ordini, signori. Abbiamo perduto già troppo tempo e giungeremo tardi all’oasi di Kara-Kum. —