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224 Capitolo ottavo.

Poi, volgendosi verso Karaval gli chiese:

— Sono cariche le tue pistole?

— Sì, signore; dubito però che la polvere prenda fuoco. Deve essere ancora bagnata.

— Ed io non ho che una sola carica. E tu Tabriz?

— Due sole, padrone.

— Tre colpi sono già qualche cosa.

— E poi abbiamo i kangiarri e anche quelli valgono. Ah!... I signori leoni continuano l’esplorazione!... Non credevo che fossero così prudenti.

— Cercano di guadagnarsi la colazione senza esporre le loro giubbe, — disse il bandito.

Le due belve, contrariamente alla loro abitudine, dimostravano infatti un’eccessiva prudenza.

Dopo essersi avvicinati alla collinetta, quasi strisciando sulle sabbie, si erano divisi per farne il giro in senso contrario misurando cogli occhi l’altezza e cercando probabilmente il punto migliore per procedere all’attacco.

Compiuta quella seconda esplorazione, si erano sdraiati l’uno presso l’altro, mandando due sordi ruggiti.

— Ecco l’assedio, — disse il bandito. — Ieri sera il ghepardo, ora i leoni. Finirò per trovarmi un asilo nel ventre d’una bestia feroce. —


CAPITOLO VIII.


L’attacco dei leoni.


Tutte le belve, a qualunque razza appartengano, non osano, anche se spinte dalla fame e sicure della vittoria, assalire in pieno giorno l’uomo, mentre invece non esitano, se si presta loro l’occasione, a scagliarsi su una gazzella, su un antilope e perfino contro le gigantesche giraffe.

Si direbbe che lo sguardo umano le rende titubanti, e perciò attendono sempre le tenebre per agire.

I due leoni, impressionati fors’anche dall’aspetto risoluto dei tre turchestani e dalla taglia gigantesca di Tabriz, invece di muovere direttamente all’attacco, si erano accovacciati aspettando la scom-