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220 | Capitolo settimo. |
in mezzo ad un cespuglio, due nidi di ottarde turchestane e non avendo potuto impadronirsi delle femmine, aveva fatto raccolta d’uova, due dozzine, che sembravano ancora fresche e che cucinate sotto la cenere, dovevano servire da cena.
— Passeremo qui la notte, — disse Hossein. — Le marce attraverso a questa steppa ondulata, ammazzano anche i più forti.
— Io non ho alcuna fretta, mio signore, — rispose Karaval, che pensava al suo compagno. — Giungere al fiume dieci giorni prima o dopo, per me poco importa. —
Cenarono facendo onore alle uova che si divisero fraternamente; fecero raccolta di legna onde il fuoco non si spegnesse durante la notte, non essendo ben sicuri che non vi fossero altri animali feroci nascosti fra i cespugli dell’oasi o fra le dune di sabbia dei dintorni, e si coricarono, cercando però di dormire con un solo occhio.
La notte passò tranquilla quantunque fossero più volte svegliati dalle urla d’una coppia di lupi di montagna.
Il sole non era ancora sorto che già i tre uomini erano in marcia dovendo attraversare una notevole distanza prima di giungere all’oasi di Kara Kum, la sola che potesse rifornirli d’acqua e promettere qualche capo di selvaggina, essendo ormai finito l’arrosto d’orso.
Quantunque non soffiasse alcun alito di vento, cortine di sabbia ondeggiavano verso ponente, ossia nella direzione che dovevano tenere i tre uomini, ora alzandosi ed ora abbassandosi.
— Che stia per scoppiare un’altra burana? — chiese Hossein.
— No, signore, — rispose Karaval, che guardava attentamente il cielo.
— L’atmosfera è limpidissima e non scorgo alcun cirro che annunzi del vento.
— Eppure quelle sabbie si sollevano turbinando, — disse Tabriz.
— Senza vento non si alzerebbero in quel modo, — riprese Karaval, che si fermò per meglio osservarle.
— Vi deve essere qualche grossa truppa di animali laggiù, che galoppa sfrenatamente, — aggiunse poi.
— Delle gazzelle forse! — chiese Hossein.
— No, animali più grossi, — rispose poi Karaval.