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212 | Capitolo sesto. |
— E anche animali?
— In tutte le oasi non ne mancano.
— Se siamo così vicini, sarà meglio dividere la notte in quarti di guardia, — disse Hossein.
— È inutile signore, — rispose Karaval. — Nessuno verrà a turbare il nostro sonno; possiamo dormire tranquilli.
Fra le dune, dove l’acqua manca, non si vede quasi mai nessuno.
Ceniamo e dormiamo onde essere ben riposati per domani all’alba. —
Divorarono un altro pezzo d’orso, si dissetarono parcamente, si scavarono una buca nella sabbia e vi si lasciarono cader dentro, dopo essersi messi a fianco le armi.
Non erano trascorsi dieci minuti che Tabriz e Hossein dormivano della grossa.
Non così però Karaval. Il bandito, forse più abituato alle marce a piedi, o meno dormiglione, aveva ancora gli occhi aperti e con un orecchio appoggiato sulla sabbia pareva che ascoltasse con profonda attenzione.
Mezz’ora era già trascorsa, quando bruscamente, quantunque silenziosamente, si alzò.
— Deve essere lui, — mormorò.
— Non è tanto stupido quanto io l’avevo creduto. —
Si levò in piedi, badando di non far scricchiolare le sabbie e guardò quasi ferocemente Tabriz e Hossein, che dormivano profondamente l’uno presso all’altro, tenendo una mano sui loro kangiarri.
— Sarebbe una bella occasione e tutto sarebbe finito! — mormorò. — Due!... E poi con quel gigante che può reggere a parecchie palle di pistola meglio d’un orso!... Fin che ammmazzo l’uno, l’altro mi salta addosso e allora, mio caro Karaval, addio ai tuoi sogni ambiziosi!... Non rimarrà che Hadgi, sempre Hadgi, quell’imbecille!...
No, meglio essere prudenti e aver pazienza. Io non sono uno stupido. —
Attese alcuni minuti, poi vedendo che nè Tabriz, nè Hossein si muovevano, scivolò lungo la duna più alta, senza produrre il menomo rumore.
La salì carponi e giunto sulla cima si fermò, borbottando: