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Le spie d’Abei. 183

— Mediti un’evasione tu?

— Mi basterebbe un po’ di burana, signore. Eh! Chissà!... Quelle cortine che filano laggiù indicano che se qui regna la calma più assoluta, laggiù invece qualche po’ di vento soffia.

Non disperiamo, signore, te lo ripeto.

— Non so quali aiuti speri da un uragano di polvere.

— Tu non hai mai veduto gli uragani di polvere, perchè nella tua steppa non succedono. Me ne saprai dire qualche cosa se avremo la fortuna di vederne uno.

Silenzio, signore. Mi pare che i nostri guardiani aguzzino gli orecchi, per sorprendere i nostri discorsi. —

In lontananza, mescolate a grossi cristalli di sale, che mandavano bagliori acciecanti, si stendevano a perdita d’occhio, grandi dune di sabbia, interrotte solo da qualche magro cespuglio, che qualunque animale, per quanto affamato, avrebbe sdegnato.

Nessuna tenda appariva in alcuna direzione. Era ben la steppa della fame quella, senz’acqua dolce per dissetarsi e senza gazzelle che potessero fornire un arrosto al povero viaggiatore.

Il Sahara africano, tanto temuto dalle carovane, non deve esser peggiore.

A mezzodì la colonna fece un primo alt presso una minuscola óasi, formata da un gruppetto di quercioli intristiti e da un paio di palme selvatiche.

I prigionieri, non abituati a marciare a piedi, essendo i turchestani tutti cavalieri, non si reggevano più e avevano le gole arse da quella continua pioggia di polvere finissima, e le palpebre rosse e gonfie.

Perfino Tabriz, abituato a vivere quasi sempre a cavallo, non ne poteva più degli altri.

I soldati dell’Emiro fecero una magrissima dispensa di viveri, non avendo condotto con loro che una dozzina di cammelli carichi di provviste, poi rizzarono le loro tende da campo, lasciando i prigionieri ad arrostire sotto il sole ed esposti alle cortine di sabbia che lentamente s’avanzavano, spinte forse da una impercettibile brezza di tramontana.

Tabriz, che aveva trascorsa una parte della sua gioventù in quella steppa maledetta e che sapeva qualche cosa sui movimenti di quelle sabbie, non si stancava di osservarle con profonda attenzione, nonchè di bagnarsi il dito pollice e di alzarlo più che