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176 Capitolo terzo.

— Come hai l’intelligenza corta, Dinar! Tu non riuscirai mai a nulla, figliuol mio.

— Sono ancora giovane, Karawal.

— Io alla tua età ero un briccone emerito, e rubavo, quasi sotto il naso dei pastori illiati, cammelli e cavalli, senza contare i montoni.

— Spero di poter un giorno diventare anch’io così abile.

— Te lo auguro di cuore. Dunque il mio piano è d’informare Abei che il suo colpo è andato fallito, così affretterà le nozze con Talmà.

Accetterà la fanciulla?

— Le donne fanno presto a rassegnarsi e anche a dimenticare. E poi forse che il signor Abei non è anche lui un nipote del beg?

— E poi?

— Poi seguiremo i due prigionieri e non li lasceremo, se riescono a sfuggire alle granfie dell’Emiro di Bukara, finchè non li avremo soppressi. Le buone occasioni non mancheranno ed è necessario che non tornino più mai nella steppa o non prenderemo un solo tomano.

Mi hai compreso Dinar?

— Perfettamente, — rispose il giovane.

— Oh!.... Ecco che la tua intelligenza comincia a schiudersi; sotto di me farai della strada, figliuol mio.

Orsù riprendiamo le nostre scimmie e andiamo a fare i nostri preparativi di partenza.

— Ci permetteranno di seguire i prigionieri?

— Non dubitare: i loutis sono ben veduti da tutti. —

Pagarono e uscirono, girando intorno al piccolo caffè che nella forma sembrava un grosso dado di pietra. Dietro, sotto una piccola tettoia, stavano incatenati due scimmie, quadrumani che si trovano sulle montagne del Chachemir e sulle pendici dell’Himalaya, alte più di mezzo metro, con una coda di venticinque centimetri, di corporatura massiccia, e ricca di pelo di color verdastro e la faccia invece di tinte ramigno chiare, del più singolare effetto.

Sono, si può dire, le sole scimmie che sopportano benissimo il freddo, trovandole perfino a tremila metri d’altezza, là dove le nevi abbondano; sono però anche cattivissime e difficili a domarsi, non temendo di assalire perfino i cacciatori coi loro robustissimi denti.