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Il tradimento d’Abei. 173

— Dei Babi? Chi sono costoro?

— Fanatici che vorrebbero rovesciare tutti gli Emiri e anche lo sciah di Persia, e che hanno già dato molto da fare a quest’ultimo.

Quei furfanti, malgrado abbiano già ricevuto delle tremende lezioni in Persia, a Zindjan specialmente, dove tutti i loro compagni furono passati a fil di spada dalle truppe di Nasser-el Din, si sono infiltrati anche nel nostro kanato.

— Sicchè, cosa volete concludere?

— Che quei due prigionieri devono essere condotti a Bukara, insieme coi ribelli catturati. Tale è l’ordine del mio signore.

— E se non fossero due affiliati alla setta dei Babi?

— Deciderà l’Emiro, — rispose il buccaro, con voce ferma.

— Ricordatevi però che dopo l’interrogatorio, voi dovete riconsegnare a noi tutti i ribelli, e vivi.... ricordatevelo bene, vivi. L’Europa tiene gli occhi su di noi.

— Noi non uccideremo nessun ribelle, ve lo prometto a nome dell’Emiro. Noi rispetteremo i trattati.

— Anche quei due sono vostri, ma, Babi o no, ce li ritornerete. Abbiamo troppe terre disabitate intorno al Caspio, e quella gente non si troverà male laggiù e taglieremo nello stesso tempo le ali ai pretendenti come Djura-Bey e Baba Bey.

Noi già non lavoriamo sempre per i begli occhi del vostro signore.

Domani adunque i ribelli di Kitab saranno a vostra disposizione e avrete il permesso di trattenerli in Bukara per una settimana, non di più, m’intendete? Io parlo a nome del maggior generale Abramow e del governo del Turchestan.

Ora potete andare. —


CAPITOLO III.


Le spie di Abei.


— Nulla?

— No Karawal.

— Tu vuoi guadagnare i tomani del nipote del beg bevendo caffè e passeggiando per Kitab?

— È impossibile sapere qualche cosa. Seppelliscono alla rinfusa i cadaveri senza badare se siano stati poveri o ricchi.