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172 Capitolo secondo.

— Bah!....

— Ci trattate come banditi....

— No, come ribelli dell’Emiro di Bukara.

— Non abbiamo preso parte alla ribellione noi!.... ve lo giuro!....

— Avete fatto fuoco contro di noi e basta.

Perchè i vostri c’impedivano di andarcene. Siete miserabili che abusate della vostra forza.

— Ehi, giovinotto, non siamo nella steppa qui, ricórdatelo e pensa a quello che tu devi dire. Vi è del piombo nei nostri fucili.

— E del buon acciaio, nei nostri kangiarri, — rispose fieramente Hossein.

— E dei pugni che accoppano, nelle nostre braccia — aggiunse Tabriz.

— Conduceteli via, — disse il maggiore, volgendosi verso il sergente. — Ne ho abbastanza di costoro.

— Andiamo — disse il cosacco, spingendo fuori Hossein e Tabriz.

Rimasti soli, il maggiore riaccese il sigaro che aveva lasciato spegnere, poi guardando il rappresentante dell’Emiro, che conservava un’impassibilità strabigliante, gli chiese:

— Credete a quanto hanno narrato quei due prigionieri?

— No, — rispose asciuttamente il buccaro.

— Non credete neppure che quel giovane sia un personaggio distinto? Veramente mi ha l’aria di un pezzo grosso della steppa.

— Può darsi che sia un nipote del beg Giah Aghà.

— Un uomo forte quel beg?

— Che gode d’una grande autorità nella steppa occidentale, per aver purgato il suo paese dai banditi che lo infestavano e per aver sventato, sia coll’astuzia, sia colle armi, le mire, sia pure ambiziose, del mio signore, che desiderava estendere i suoi domini al di là dell’Amur-Darja.

— Credete che quel giovane volesse proprio attentare alla vita dell’Emiro?

— Non ho alcun dubbio; anzi aggiungerò che io sospetto appartenga alla setta dei babi1.

  1. Questa setta che pretendeva di armonizzare la religione mussulmana colle idee moderne, era stato fondata da Mullah Alì che fu uno dei seguaci che uccise, nell’aprile del 1904, lo sciah di Persia Nasser-el-Din, con un colpo di pistola.