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Il tradimento d’Abei. 171

l’infame!... È lui che mi ha colpito alle spalle per rubarmi Talmà....

— Sì, mio signore, — disse Tabriz, con accento irato. — Io l’ho veduto a far fuoco su di noi ed ora te lo dico.

È tuo cugino che ha tramato tutto.

— Infame!.... Infame! — urlò Hossein.

Il maggiore ed il rappresentante dell’Emiro non sembravano affatto commossi, nè per l’esplosione di dolore del disgraziato Hossein, nè dello scoppio d’ira di Tabriz.

Anzi il primo sussurrò agli orecchi del secondo:

— Come sono abili commedianti questi selvaggi della steppa! Poi, volgendosi verso Hossein, che si era lasciato cadere su una sedia, nascondendosi il viso tra le mani, gli chiese ruvidamente:

— Dunque l’hai conosciuta questa calligrafia.

— Sì, è di mio cugino Abei, — rispose il giovane.

— Dov’è codesto tuo cugino?

— È fuggito.

— Dove?

— Che ne so io?

— Sarà colle Aquile, mio signore, — disse Tabriz. — È stato lui ad assoldarle, non ho più alcun dubbio.

— Dove si sono rifugiati quei banditi? — chiese il maggiore.

— Sulle montagne, probabilmente, — rispose Tabriz.

— Ed il cugino è con loro?

— Lo suppongo.

— Quello è stato più furbo di voi, — disse il maggiore ironicamente. — Penserà l’Emiro ad andarlo a trovare, se ne avrà tempo. —

Stette un momento silenzioso, poi battè le mani.

Il sergente ed i suoi cosacchi che si erano fermati dinanzi alla tenda, entrarono.

— Conducete questi uomini nella cittadella, — disse loro, doppia sorveglianza, — aggiunse poi.

— Signore, che cosa volete fare di noi? — chiese Hossein, balzando in piedi.

— Deciderà il rappresentante del Khan, — rispose il russo. — D’altronde la vostra sorte mi pare che sia oramai decisa.

Voi siete due pericolosi che meritereste, per mio conto, un po’ di Siberia, in fondo a qualche miniera.

— Dunque voi non credete a quanto vi abbiamo detto?