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Il tradimento d’Abei. 165

— Taci e pensa a guarire ora. Gli ammalati non devono parlare.

— Permettimi una parola, signore.

— Parla.

— Rispondi della vita del mio signore? Credi che sopravviverà?

— Ora che gli ho estratta la palla non corre più alcun pericolo. Fra un paio di giorni potrà parlare, ma bada, per ora di lasciarlo tranquillo.

Resisti alla febbre che fra poco ti coglierà e non seccarmi altro. —

Ciò detto lasciò la tenda-ospedale e passò in una più piccola, che s’alzava a breve distanza e che era del pari illuminata.

Non conteneva che un piccolo letto da campo, un tavolino sgangherato ed una sedia in non migliore stato.

Accese un nuovo sigaro, si sedette e poi estrasse il plico che era caduto mentre svolgeva la fascia di Hossein.

— Può contenere dei documenti importanti pel generale, — mormorò, stracciando la busta di carta-pecora.

Il plico non conteneva che due foglietti, ma ciò che vi era scritto sopra doveva essere ben grave, poichè il dottore aveva fatto un soprassalto e la sua fronte si era aggrottata.

— Un complotto contro il maggior generale Abramow, e contro l’Emiro! — esclamò ad un tratto. — Djura bey ha fatto bene a scappare, perchè se fosse stato preso non so chi lo salverebbe.

E quei due eran gl’incaricati di commettere l’assassinio! Non valeva la pena di estrarvi due palle per farvene cacciare in corpo più tardi una dozzina.

Vedremo però come la intenderà il khan di Bukara. —


CAPITOLO II.


Il tradimento d’Abei.


Non fu che dopo tre giorni di febbre intensissima, accompagnata da frequenti accessi di delirio, durante i quali non faceva che invocare, con voce straziante, Talmà, che Hossein potè finalmente riconoscere il suo fedele turchestano.

Lo stupore del povero giovane fu tale, nel vedersi quasi accanto,