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I prigionieri. 159

Non è troppo tenero quel selvaggio principe coi ribelli che turbano i suoi sonni. —

Un soldato aveva spiegata rapidamente la coperta di lana, che portava a tracolla ed i suoi camerati vi avevano adagiato sopra Hossein con infinite precauzioni.

Il cosacco, prima di dare il comando di mettersi in marcia, levò al ferito la ricca giubba persiana, tagliò la camicia di seta, diede uno sguardo alla ferita prodotta, a quanto pareva, da una palla di pistola e vi cacciò dentro un pizzico di filaccia di lino fasciandola poi lestamente, quantunque il sangue si fosse oramai raggrumato impedendo l’uscita a quello che rimaneva nel corpo.

— Là, — disse, facendo schioccare contemporaneamente la lingua e le dita. — Credo che un medico dell’esercito non avrebbe potuto fare di meglio. Oh!.... M’intendo io di ferite! —

Poi, volgendosi verso Tabriz che si manteneva ritto per un vero miracolo di suprema energia, gli chiese:

— E per te, Ercole, che cosa posso fare? Vuoi che visiti anche la tua ferita?

— Farai quello che vorrai, moscovita, ma più tardi, quando saremo al campo.

— Ecco un magnifico orso, — borbottò il sergente, con vera ammirazione; — che pelle dura hanno questi Shagrissiabs! —

Poi alzando la voce:

— Lesti, all’accampamento, camerati! —

I quattro soldati afferrarono i quattro lembi della coperta e guidati dal sergente che teneva alta la lanterna, si misero in marcia a passo affrettato, seguiti da Tabriz il quale pareva che fosse improvvisamente guarito della sua ferita.

In venti minuti raggiunsero il primo burrone, poi in altri dieci si trovarono dinanzi ai giardini di Kitab, dove ardevano giganteschi falò, i quali facevano vivamente scintillare un gran numero di fasci d’armi.

Molte tende, per lo più piccole, si rizzavano qua e là e molti soldati russi fumavano placidamente le loro immense pipe di porcellana, commentando a bassa voce gli avvenimenti della giornata e narrandosi le prodezze compiute durante l’assalto della torre di Ravatak, il solo luogo si può dire, ove i Shagrissiabs di Djura bey e di Baba-beg avevano opposta un’accanita resistenza.

Il sergente ed i suoi soldati, dopo d’aver risposto alla parola