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I prigionieri. 157

— Sembra un principe, — disse Olaff.

— E tale da innamorare qualunque fanciulla, — aggiunse un altro.

— Che splendide armi! — esclamò il sergente. — Questo deve essere il figlio di qualche Emiro o di qualche beg.

Peccato che l’abbiano ucciso e così giovane!...

— Vediamo sergente, se è veramente morto, — disse Olaff.

— Alzatelo. —

Due soldati trassero il giovane di sotto ad un cavallo che in parte lo copriva e lo esaminarono attentamente.

— Nessuna ferita dinanzi, — disse il sergente. — Voltatelo... Ah!... Eccolo qui un foro nel dorso, sotto la scapola sinistra... una palla di certo...

To’!.. Vediamo... mi sembra impossibile che questa ferita abbia potuto causare la morte a questo giovane...

Per tutti gli etmani della Kabardia!... Un fremito!... Oh ragazzi, non è ancora spirato! Me ne intendo io di ferite! —

I quattro soldati, che avevano provata una subitanea simpatia per quel bel giovane, quantunque dovesse essere stato un loro nemico, lo avevano deposto frettolosamente sul cadavere d’un cavallo, probabilmente il suo a giudicarlo dalla ricchezza della gualdrappa che era ricamata in oro e dalla bellissima sella tutta a borchie d’argento.

Il sergente gli tolse il kangiarro che teneva ancora in mano, pulì la lama con un lembo della sua grossa casacca e gliela mise dinanzi alle labbra che erano semi-aperte, mormorando:

— L’aria è fredda questa notte; vedremo se l’acciaio si appannerà. —

Attese un mezzo minuto, poi fece un gesto di gioia.

Sull’acciaio si era distesa lentamente come una leggerissima ombra, la quale aveva offuscato lo scintillìo del metallo.

— Respira! — esclamò il cosacco.

— Sia pure nostro nemico, eppure sarei ben lieto che questo giovane si potesse salvare e... —

Si era bruscamente interretto, retrocendo vivamente. Anche i quattro soldati lo avevano imitato, armando rapidamente i loro fucili.

Un’ombra gigantesca era sorta a pochi passi da loro, chiedendo con voce rauca: