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152 Capitolo diciassettesimo.

— Siamo pronti, signore, a dare la vita per la padrona, — rispose ad una voce la scorta.

— Seguitemi dunque: è il nipote di Giah Aghà che vi guida, — gridò Abei sfoderando il kangiarro.

— Sono cariche le vostre armi?

— Sì, signore!...

— Avanti, cavalieri della steppa! —

Si misero a salire la montagna, seguendo un sentieruzzo che era fiancheggiato da folte piante, le quali nascondevano completamente uomini e cavalli. D’altronde l’oscurità era diventata profondissima, essendosi steso al di sopra delle montagne un denso velo nebbioso.

Il drappello, giunto a tre o quattrocento passi dall’entrata della caverna, si arrestò e gli uomini saltarono a terra onde poter avvicinarsi inosservati e sorprendere i banditi, che forse, ritenendosi perfettamente sicuri fra quelle aspre montagne, non vegliavano.

— Signore, — disse un Sarto, rivolgendosi ad Abei. — Attaccheremo a fondo o assedieremo i banditi?

— È necessario prendere la caverna d’assalto, — rispose il nipote del beg. — I banditi che si sono recati a Schaar potrebbero ritornare e sorprendere invece noi.

Seguitemi e appena saremo dinanzi al rifugio fate fuoco, e poi avanti coi kangiarri. —

Si spinsero innanzi, tenendosi nascosti fra le piante e procedendo curvi.

Abei ed i banditi che lo avevano scortato, camminavano in testa a tutti, non desiderando questi ultimi separarsi dai loro camerati.

Erano giunti ad una trentina di metri dalla caverna, quando si udì una voce a gridare:

— All’armi!...

— Sotto, amici! — comandò Abei, slanciandosi innanzi.

I Sarti, in pochi salti, superarono la distanza, fecero fuoco attraverso la fenditura, poi s’avventarono risolutamente innanzi coi Kangiarri e le pistole.

Nella caverna si udirono alcuni spari, poi delle grida che pareva si allontanassero rapidamente.

Abei stava per guidare i suoi uomini entro il rifugio, quando una voce che gli fece battere il cuore lo arrestò:

— Non fate fuoco, amici!...