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144 Capitolo diciassettesimo.

CAPITOLO XVII.


Il rifugio dei banditi.


Mentre Abei, colla sua piccola scorta, galoppava verso la catena dei Kasret-Sultan-Geb, per raggiungere la caverna, dove si trovavano rifugiate le Aquile della steppa, Kitab assalita sempre vigorosamente dalle due colonne d’assalto del colonnello Miklalovsky a poco a poco cadeva.

Una larga breccia era già stata aperta a fianco della porta di Ravatak ed i cannoni della torre, tutti smontati, non potevano più far nulla.

Era dunque quello il buon momento per dare il colpo supremo alle orde dei Shagrissiabs.

Questi che si erano ammassati sulle terrazze e sulle mura, non avevano indugiato ad aprire un fuoco vivissimo coi loro moschettoni, non potendo contare che sull’appoggio di pochi falconetti e di qualche racchetta, ancora piazzati sui ridotti della cittadella.

Malgrado quella pioggia di palle, i russi piantarono le loro scale, alcune sulla breccia, altre sulla muraglia e sui parapetti, montando lestamente all’assalto.

I Shagrissiabs, che si erano radunati in buon numero sulla cresta della cinta, già sgomentati per la perdita della loro artiglieria, al primo apparire delle baionette russe, si erano dati alla fuga attraverso i giardini urlando a squarciagola:

— Il nemico!... Il nemico!... Si salvi chi può! —

Secondo le istruzioni ricevute, le due colonne d’assalto, appena superata la cinta, si erano subito messe in marcia verso la cittadella sui cui ridotti i falconetti sparavano ancora.

Una frazione però aveva dato la scalata alla torre di Ravatak ed aveva rovesciato nel fossato i due cannoni che la difendevano.

Le due colonne, dato fuoco ad alcune capanne per illuminare la via, avevano continuata la loro marcia, rinforzate dalla riserva che l’avevano in quel frattempo raggiunta.

I Shagrissiabs nascosti nelle strette vie che dividevano i giardini racchiusi fra le due cinte, pur fuggendo, non cessavano di far fuoco. Anche i ridotti non erano diventati ancora muti.

Il generale Abramow, frettoloso di finirla, lanciò allora all’as-