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L’assalto di Kitab. 141

dai banditi di Hadgi, attraversarono la città, travolgendo sotto le zampe dei cavalli non pochi fuggiaschi e raggiunsero la porta di Rachid, che era guardata solamente da pochi cavalieri Shagrissiabs, non essendosi mostrata, in quella direzione, alcuna compagnia di russi.

— Aprite! — gridò Tabriz, sfoderando il kangiarro. — Ordine di Djura-bey.

— Che cosa vuoi fare? — chiese il comandante del drappello.

— Caricare i russi alle spalle, — rispose il gigante. — Sbrigati o prenderanno d’assalto la torre di Ravatak. —

La porta, laminata con lastre di bronzo, che non era stata barricata, fu spalancata ed i cavalieri passarono come un uragano sul ponte levatoio gettato attraverso il profondo fossato.

— Preparate gli archibugi! — gridò Hossein. — Questa calma non mi assicura.

— Vedi nulla? — chiese poi a Tabriz, che spingeva i suoi sguardi attraverso i folti cespugli che coprivano i margini dei burroni.

— No, signore, — rispose il gigante. — Tuttavia non sono completamente tranquillo.

Questo silenzio mi ha l’aspetto di un agguato.

— Carichiamo a fondo.

— Sono pronto, signore!

— E passeremo come siamo passati attraverso le linee delle Aquile?

— Non ne dubito.

— Il kangiarro fra i denti! Al galoppo! —

Il primo burrone non era che a mille metri dall’ultimo giardino. I cavalieri vi giunsero sopra a corsa sfrenata, ma nel momento di scendere il declivio videro sorgere una selva di baionette.

Era troppo tardi per arrestare i cavalli. La colonna passò di volata, atterrando quanti russi si trovavano sul suo passaggio, facendo fuoco colle pistole e maneggiando tremendamente gli affilatissimi kangiarri; trecento passi più innanzi si trovava un secondo burrone e fu da quello che partì una scarica così intensa e così micidiale da rovesciare più di metà dei cavalli.

— A terra! — gridò Hossein. — Tutti dietro i cavalli!... Fuoco nel burrone!... Da due parti! —