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132 Capitolo quindicesimo.

cesta di vimini con entrovi due colombe e che volevano rappresentare la strage di Hussein e di tutti i suoi fedeli sterminati nelle pianure di Kirbdeil, mentre stavano per muovere alla conquista del califfato.

Venivano poi soldati, cavalieri, cittadini, muniti tutti di torce, pigiandosi, urtandosi, fra un frastuono spaventevole prodotto da migliaia e migliaia di voci che urlavano a squarciagola:

— Alì — Hussein! — Proteggeteci dagli infedeli! — sterminateli, fulminateli! — Allah! — Allah! —

In mezzo a quella folla, stretta da tutte le parti, come impacchettati, si scorgevano i due Beks di Kitab e di Schaar, coi loro immensi turbanti verdi, montati su bianchi cavalli e seguiti da un brillante stato maggiore.

La processione si era messa in moto a passo accelerato, poichè i fanatici che marciavano alla testa, per meglio esaltarsi e anche per raddoppiare il fracasso delle pesanti catene, si erano messi a correre, mandando delle urla che più nulla avevano d’umano.

Le loro armi taglientissime scintillavano sinistramente alla luce sanguigna proiettata da quelle centinaia e centinaia di torce.

D’un tratto un grido formidabile si sprigiona da quei tre o quattrocento petti: sembra un immenso e spaventevole ruggito:

— Alì! — Hussein! —

Quei furibondi cominciavano a tagliuzzarsi la fronte, le labbra, il naso, le spalle, le braccia, che erano nude, con una voluttà feroce! il sangue zampillava copioso, macchiando e scorrendo sulle bianche zimarre e colando sui ciottoli.

Lo spettacolo è orribile, ributtante, ma non impressiona nessuno: anzi tutti invidiano quei disgraziati, che si mutilano atrocemente, convinti di guadagnarsi, con tutto quel sangue che perdono, il sospirato paradiso del Profeta.

Di quando in quando uomini mezzi dissanguati, stramazzano al suolo colla schiuma alla bocca, gli occhi schizzanti dalle orbite; subito gli amici od i parenti li raccolgono e li portano nelle case vicine, dove le donne si affrettano a lavarli, fasciarli e rinvigorirli con tazze di kumis o con acquavite di segala.

Quella corsa, poichè era diventata una vera corsa attraverso alle vie più spaziose della città, durava da una mezz’ora, fra un baccano sempre più spaventevole, quando Abei, che al pari degli altri aveva dovuto scendere da cavallo per non calpestare la folla,