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I fanatici del Turchestan. | 127 |
beg e uscì dalla cittadella, scendendo a piccolo trotto, verso la piazza del bazar.
Dieci minuti dopo, ilare e sorridente, rientrava nel caravanserraglio. Tabriz e Hossein, che stavano preparandosi il pranzo, avendo acquistato alcuni montoni per loro e per la scorta, vedendolo, si affrettarono a muovergli incontro.
— Dunque, cugino? — chiese il giovane, che era diventato pallido.
— La tua Talmà è qui — rispose Abei.
— Dove? — gridò Hossein.
— Ecco quello che Baba beg non sa ancora, tuttavia ha un sospetto e mi ha giurato sul Corano che ci aiuterà a ritrovarla.
— Ah!...
— Adagio, cugino, disse Abei. — Quello che temevo si è avverato.
— Che cosa dici? — Chiese Hossein diventando livido.
— Egli esige, come compenso, che noi lo aiutiamo a prestargli man forte contro i russi.
— Se non è che per questo, noi sciaboleremo per bene quei maledetti moscoviti, — disse Tabriz che nutriva vecchi rancori contro gli occidentali. — Purchè trovi Talmà e ce la restituisca, noi faremo dei veri miracoli d’eroismo, è vero, signore?
— E le Aquile? — chiese Hossein.
— Sono fuggite dopo d’aver lasciato qui Talmà.
— Ma a chi l’hanno lasciata? Te lo ha detto, Abei?
— Non lo sa ancora.
— Signore, — disse Tabriz. — Se Baba beg ha giurato sul Corano, da buon mussulmano, manterrà la sua promessa.
Per ora aiutiamolo a respingere quei dannati moscoviti. Sarebbe stato meglio non imbarazzarci in questa ribellione, tuttavia giacchè siamo coinvolti anche noi, meneremo le mani meglio che potremo. Sarà sangue straniero che scorrerà e non già turchestano.
— Pranziamo, — disse Abei. — Fra poco comincerà la processione degli sfregi in onore di Alì e di Hussein, che Djura bey ha ordinata per fanatizzare le sue truppe, e noi, come difensori della fede, dobbiamo prendervi parte.
— E Talmà? — chiese Hossein, come se uscisse da un sogno.
— Non temere, cugino. La ritroveremo e forse più presto che tu non creda. Da Kitab non è uscita, il beg me lo ha assicurato