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I fanatici del Turchestan. 121

Certamente un vivo combattimento doveva essersi impegnato, fra i cavalieri del Bek di Kitab e di quelli dello Schaar ed i cosacchi che il colonnello russo Miklalowsky, incaricato dal governatore generale del Turchestan di domare i ribelli, conduceva da Samarcanda.

Già le truppe di Hossein non distavano che poche centinaia di metri dalla torre sovrastante la porta di Ravatak, quando scorsero una nuvola di cavalieri scendere a galoppo sfrenato le alture, mentre sopra le loro teste scoppiavano delle granate.

— I Shagrissiabs! — gridò Tabriz. — Pare che abbiano avuto il loro conto se scappano in quel modo!...

Un sorriso comparve sulle labbra di Abei.

— Allah mi protegge, — mormorò fra i denti. — Era quello che aspettavo. Chi rifiuterà il nostro soccorso? —

I cavalieri del Bek di Kitab e quelli del Bek di Schaar giungevano a briglia sciolta, urlando ferocemente e volgendosi di quando in quando, per fare delle scariche, che non dovevano fare troppo danno ai russi, nascosti in mezzo al polverone.

— Lesti, amici! — gridò Hossein. — Giungeremo prima di loro! —

Con un ultimo slancio i cavalli superarono le ultime centinaia di metri e, varcato il ponte levatoio, irruppero sotto la porta di Ravatak, mentre sui ridotti della cittadella tuonavano le racchette ed i falconetti del Bek Djura bey.


CAPITOLO XIV.


I fanatici del Turchestan.


Kitab, senza avere l’importanza di Bukara, di Kiva e di Samarcanda, le tre città più popolose e più famose del Turchestan, e ritenute le tre regine della steppa, come le chiamano i turani, era nel 1875 una città ragguardevole, se non pei suoi commerci, per la sua popolazione e per le sue fortificazioni che, collegate con quelle di Schaar, la rendevano molto temuta.

Non era veramente una ròcca, assolutamente inespugnabile per truppe specialmente europee, tuttavia i barbari la ritenevano talmente salda, da non osare assalirla, nè sfidare i suoi venti