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118 Capitolo tredicesimo.

— Non ti lagnare dunque.

— Oh no, signore — disse il bandito.

— Ora vattene. Che siano già giunti a Kitab i tuoi uomini?

— Aspetteranno che li raggiunga, prima di entrare nella città.

— Allora spicciati.

- Addio signore: conta sulla mia fedeltà.

— E tu sui miei tomani — rispose ironicamente Abei.

Hadgi staccò un cavallo, gli avvolse la testa onde non nitrisse, balzò in sella e si slanciò attraverso la steppa, dileguandosi presto fra le tenebre.

— I russi giungono in buon punto, — mormorò Abei, quando il bandito fu scomparso. — Baba beg, non si sarà scordato di essere stato un giorno salvato da mio padre e mi aiuterà.

Ah!... Tu volevi tutto per te, cugino: la bellezza e la felicità, il coraggio e l’ammirazione di tutte le donne della steppa!... Ed a me, che sono pure figlio d’un beg, nulla? Almeno Talmà l’avrò, dovessi ucciderti!... Senza quella fanciulla che io ho amata segretamente prima di te, che cosa sarebbe la mia vita? Voi due non conoscete ancora Abei! —

Strisciò verso la capanna ed entrò senza far rumore, coricandosi sulla gualdrappa che gli serviva da tappeto.

Hossein e Tabriz dormivano sempre profondamente e di nulla si erano accorti.

Era appena passata la mezzanotte, quando i Sarti ed i Shagrissiabs si svegliarono; chiamandosi reciprocamente.

Hossein e Tabriz, destati da quel vocìo e dai nitriti dei cavalli, si alzarono prontamente uscendo all’aperto.

— In sella, — comandò il giovane. — All’alba entreremo in Kitab.

— Signore, — disse un Sarto, avvicinandogli, — manca il mio cavallo.

— E anche l’usbeko che hai raccolto, — disse un altro.

— Che vada a farsi appiccare dove vuole, — disse Tabriz. — Non inquietiamoci per la fuga di quel birbante. Montate e partiamo.

Quello a cui manca il cavallo salga dietro a qualche compagno.

Lesti od i russi giungeranno prima di noi. —

In meno di un minuto i cavalli furono insellati ed imbrigliati e la truppa riprese le mosse, sempre guidata da Tabriz.