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Kitab. 117

— Perchè, signore? Hossein e Tabriz non mi conoscono ed ingannarli era cosa facilissima.

Non ho fatto altro che spogliarmi e nascondere le mie vesti e le mie armi in mezzo ad un folto cespuglio. Come hai veduto, hanno creduto a quanto io ho loro narrato e non hanno avuto il menomo sospetto.

— Sei un birbante intelligente, — disse Abei.

— Si fa quello che si può, signore, — rispose il bandito, sorridendo.

Ditemi ora dove devo condurre Talmà. Questi russi che s’avanzano rapidamente m’inquietano non poco.

— Non hai tu qualche rifugio fra le montagne di Kasret-Sultan?

— Vi sono lassù delle caverne meravigliose, signore, quantunque trasudino petrolio da tutte le parti.

— Tu entrerai in Kitab, attraverserai la città, mettendo bene in vista Talmà, e alla sera te ne andrai fra le montagne. Non vi sarà alcun pericolo.

Se anche la fanciulla griderà di essere stata rapita e che voi siete Aquile, nessuno se ne preoccuperà. Dirai che è una pazza che riconduci alla sua famiglia e poi hanno ben altro da fare quegli abitanti in questi momenti.

— Non comprendo però lo scopo di questa gita attraverso a Kitab.

— Non è necessario che tu per ora abbia maggiori spiegazioni. Quasi tutti i tuoi uomini mi conoscono, è vero?

— La sera che tu ti sei presentato al nostro accampamento, per proporci il tuo affare, signore, vi erano tutti e nessuno ha scordato il tuo viso.

— Lascerai dunque a Kitab un paio dei tuoi banditi, onde mi guidino più tardi al tuo rifugio.

— Bada, signore, che i russi calano rapidissimi e che se t’indugi, correrai il pericolo di farti assediare in Kitab.

— È quello che desidero, — rispose Abei.

— Non ti capisco.

— Non importa: a te deve solamente importare di guadagnarti la somma che t’ho promessa e che ti appartiene, ora che il mestvire è morto.

— L’ho saputo, — disse Hadgi. — Tuo zio è stato troppo crudele, però devo essergli riconoscente, perchè da luogotenente sono diventato il capo delle Aquile.