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116 Capitolo tredicesimo.

mense greggi di montoni e lunghe file di cammelli che fuggivano verso occidente, senza però troppo affrettarsi, mentre invece non avevano ancora scorto nessun gruppo di cosacchi dell’avanguardia.

Essendo state le dieci o dodici capannucce di fango secco, che costituivano il minuscolo villaggio, abbandonate dagli abitanti, la scorta senz’altro le occupò, legando i cavali, intorno ai pali che erano piantati dinanzi alle porte.

— Ripartiremo dopo la mezzanotte, — disse Hossein a Tabriz e ad Abei. — Cinque o sei ore di riposo saranno bastanti per i nostri uomini e per i nostri cavalli. —

Cenarono alla lesta, colle provviste che erano rinchiuse nei sacchetti di pelle appesi alle selle, poi tutti si stesero al suolo divisi in gruppi e non tardarono ad addormentarsi, essendo affranti.

Due uomini soli non avevano chiusi gli occhi: Abei e l’usbeko che Hossein e Tabriz avevano raccolto quasi nudo nella piccola foresta dell’Amu-Darja.

Durante la corsa, quei due uomini si erano già scambiate parecchie occhiate e qualche rapido cenno, come se già da tempo si conoscessero e attendessero l’occasione propizia d’incontrarsi.

Il nipote del beg, che doveva essere impaziente di trovarsi solo coll’usbeko, quando si fu ben assicurato che suo cugino e Tabriz dormivano profondamente, uscì silenziosamente dalla capanna e strisciò verso il primo gruppo di cavalli, dove si scorgeva vagamente, coricata fra le erbe, una forma umana.

— Dormono, — disse Abei sotto voce. — Che cosa significa la tua presenza qui, Hadgi. —

Il luogotenente del disgraziato mestvires si era prontamente alzato, girando all’intorno uno sguardo sospettoso.

— Ti aspettavo, signore, — disse poi, — per ricevere da te nuovi ordini. Noi non avevamo previsto l’invasione dei russi. Sai che stanno per assalire Kitab?

— L’ho appreso lungo il viaggio, — rispose Abei.

— Quella gente può guastare i tuoi affari, signore, ed è per questo che io ti ho aspettato sulle rive del fiume. Ero certo che Hossein ci avrebbe inseguiti e che sarebbe passato per quel guado, che d’altronde è l’unico che esista su cinquanta miglia di fiume.

— Hai giuocato una carta pericolosa.