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in quando, poi lunghe carovane di cammelli e torme immense di montoni, dalla coda grossissima, scortati da cavalieri armati e dall’aspetto poco rassicurante.

Erano per lo più usbechi e turchi, padri questi degli Osmani che hanno conquistata l’Asia Minore, l’Arabia e la Turchia europea, uomini fieri e bellicosi, che sono sempre in armi contro i ghirghisi ed i bukari.

Tutte quelle carovane si dirigevano verso la frontiera occidentale, con una certa fretta che colpì Tabriz.

— Si direbbe che fuggano dinanzi a qualche pericolo, — disse il brav’uomo a Hossein. — Vediamo di che cosa si tratta. —

Spinse il cavallo verso un gruppo di turchi che scortavano un centinaio di cammelli e che guardavano sospettosamente la truppa d’Hossein, chiedendo spiegazioni.

— I russi, — gli fu risposto.

— Sono già intorno a Kitab?

— Non ancora, ma fra poco.

— Bisogna affrettarsi, — mormorò il gigante, tornando verso i suoi compagni. — Corriamo il pericolo di rimanere tagliati fuori dalla città. —


CAPITOLO XIII


Kitab.


Non ostante gli sforzi prodigiosi compiuti dai cavalli e la fretta dei cavalieri, la notte li sorprese a una quarantina di chilometri da Kitab, nei dintorni del minuscolo e ormai deserto villaggio di Iskander.

Animali e uomini erano così sfiniti da quella marcia, che durava da quasi quarant’otto ore, da rendere impossibile una maggiore avanzata.

Hossein e Tabriz, che non volevano rovinare completamente le loro cavalcature, dalle quali attendevano preziosissimi servigi nell’attacco ai briganti della steppa, si videro quindi costretti a dare il segnale della fermata.

D’altronde non pareva che i russi avessero già investita Kitab perchè, anche poco prima del tramonto, avevano incontrate im-