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XIII

Corazzini collo studio del vernacolo siculo negli antichi secoli, di ricondurre alcune rime siciliane alla loro probabile lezione originale: ma un lavoro di tal fatta ognun vede che, quanto legittimo nelle sue ragioni ed ingegnoso, altrettanto è di natura sua arbitrario ed incerto nei resultati; e sempre più atto a persuaderci che per le rime almeno de’ non toscani, dovremo contentarci di un toscano travestimento, più o men simile all’originale, ma ad ogni modo da esso diverso, sino a che la fortuna non ci metta innanzi un manoscritto che le contenga nel loro genuino dettato. Fino a tal desiderabile ritrovamento, i confronti dei codici toscani non ad altro realmente saranno utili se non a darci un testo più chiaro e leggibile, e fors’anche più vicino al primitivo, senza poter però tener mai luogo di questo; dappoichè dovrassi sempre considerarlo di seconda mano.

È da ritenere, in secondo luogo, che la lirica antica italiana, quella almeno che antecede il dolce stil nuovo iniziato dal Guinicelli, e perfezionato dai migliori fiorentini e massimamente da Dante, è pallido reflesso della poesia provenzale. Della quale, come avviene il più delle volte in simili casi, furono prese a modello e di preferenza imitate le parti men buone, cioè le sottigliezze nella espressione e le bravure nella versificazione: