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libr. 100 imper. (l. 2918,30) cum omni damno dispendio et guaderdono earum1.

Siccome poi molte delle nostre Vicinie si estendevano co’ loro confini anche al di fuori delle mura della città e dei borghi, così sotto la Veneta dominazione era invalso il principio, che pei misfatti avvenuti entro le mura non fosse tenuta a pagare che quella parte di Vicini, che abitavano all’interno o dentro esse, e pei misfatti compiti nel circondario esterno rispondesse quella parte di Vicini, che abitava nel suburbio2.

Questa condizione di cose ci dà una ragione della accuratezza con cui nei nostri Statuti sono descritti i confini delle Vicinanze cittadine. Era naturale che, di fronte alla gravità delle pene comminate, solo ne’ casi più evidenti quelle Vicinie si acconciassero a subire la condanna per aver lasciato sfuggire il reo, che avesse commesso il delitto entro i loro confini, o per non aver potuto o saputo riconoscerlo; nei casi dubbi certamente avranno procurato di riversare sulle Vicinie contermini il danno, che poteva provvenire da quella trascuranza forse il più delle volte incolpevole. Quindi è che nei conti del Vicinato di S. Pancrazio del 1283 si veggono dati den. 4 (l. 0,49) servitoribus Comunis Pergami qui venerunt — occasione mensurandi confines Vicinanc. nostre et Vicin. s. Heufemie occasione ferite facte in personam Oberti de Roeta3, e inoltre sol. 5 (l. 7,30) d. Guilelmo de Cuchis pro labore et fatiga quam habuit in

  1. Acta II qu. 3.
  2. Stat. 1453, 9 § 58; Stat. 1493, 9 c. 148 p. 329 seg.
  3. Acta I qu. 2.