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bastanza inesatta1, poi anche che il Comune poteva aver trovato un numero maggiore di Vicinie raggruppatesi intorno a qualche altra chiesa urbana suburbana ed averlo tratto nella sua orbita, senza punto preoccuparsi di questi ecclesiastici ordinamenti.
E questo è tanto vero, che, come già vedemmo, intorno alla chiesuola di S. Giacomo, la quale punto non entrava nel numero di quelle undici tenute dai Canonici per le più antiche, s’era già formato un gruppo di Vicini appartenenti al quartiere di S. Stefano, che probabilmente la mantenevano e la provvedevano di quanto era necessario al culto; onde nel 1173 chiesero al vescovo Guala che fosse parificata alle altre cappelle della città e del suburbio, e senza difficoltà l’ottennero2. Se ciò è, dobbiamo ammettere che anche qui prima del 1173 esistesse già una Vicinanza, che metteva capo alla chiesa comune, e questo tanto più, in quanto il vescovo Guala nella sua concessione credette inutile aggiungere quali fra i vicini della Porta di S. Stefano accedessero o dovessero accedere a quella chiesa, o, che è lo stesso, non reputò necessario in ultima analisi stabilire i confini di quella porzione del quartiere cittadino, che con essa dovea trovarsi strettamente congiunta nei rapporti ecclesiastici nuovamente creati, perchè per lunga consuetudine s’era già formato intorno a questa chiesa un vicinato, affatto all’infuori degli undici primitivi, e che poteva sin da principio essere stato accolto tale e quale anche dal Comune.
D’altra parte non è inutile osservare, che se da