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CINO DA PISTOIA



XIII


     L’uom che conosce è degno c’haggia ardire
E che s’arrischi; quando s’assicura
Vêr quello, onde paura
Può per natura o per altro avvenire.
5Così ritorno i’ ora; e voglio dire
Che non fu per ardir, s’io puosi cura
A questa crïatura,
Ch’io vidi in quel che mi venne a ferire;
Perchè mai non avea veduto Amore
10Cui non conosce ’l core se nol sente:
Che par proprïamente una salute
Per la vertute della qual si cria;
Poscia a ferire va via com’un dardo
Ratto che si congiunge al dolce sguardo.
     15Quando gli occhi rimiran la beltate
E trovando piacer destan la mente,
L’anima e il cor si sente,
E miran dentro la proprïetate.
Stando a veder senz’altra volontate:
20Se lo sguardo s’aggiunge, immantenente
Passa nel cor ardente
Amor, che pare uscir di claritate.
Così fu’ io ferito risguardando;
Poi mi volsi, tremando ne’ sospiri;
25Nè fia più ch’io rimiri a lui già mai
Ancor ch’omai io non possa campare:
Che se il vo’ pur pensare, io tremo tutto;
E ’n tal guisa conosco il cor distrutto.
     Poi mostro che la mia non fu arditanza,
30Per ch’io rischiassi il cor nella veduta.
Posso dir ch’è venuta
Negli occhi miei drittamente pietanza;
E sparto ha per lo viso una sembianza
Che vien dal core, ov’è sì combattuta
35La vita, ch’è perduta.
Perchè ’l soccorso suo non ha possanza.
Questa pietà vien come vuol natura,



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