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RIME

Vien meco (disse), e porgimi la mano. —
25Ond’io, di mente insano
Per le parole udite,
Timido e mite a pena la man porsi,
Ponendo ’l stato di mia vita in forsi.
     Pur nell’andare un argomento presi
30D’affatigar la lingua per mia scusa;
E dissi — O santa musa,
Non donna siete voi ma ninfa o dea.
Fortuna m’ha condotto a ’sti paesi;
Ma per mia voglia venni a questa chiusa,
35Qual non s’adopra od usa,
Al mio parer, per uom di vita rea.
Qui peregrino son di gente Orfea,
Che per un aspro bo ch’urtar mi volle
Montai suso quel colle;
40Dove con l’orme vane
Tema d’un cane e d’un serpe ch’io viddi
M’ha spinto in Scilla per vitar Cariddi. —
     Giunti che fummo al terminato loco
Verso man destra a lato a un canticello
45Fresco remoto e bello
Di lauro circondato e di bei faggi,
Ella rispose — Qui a seder un poco
Ambo staremo, caro mio fratello.
È ben che giovancello
50Ed inesperto sì gran fatti assaggi.
Io son la madre di que’ santi raggi
Che vedi in terra qui dal sonno presi;
Tanto dal mondo offesi
Per le corrotte genti.
55Che sonnolenti stanno a questa guisa,
Come per campo fa gente derisa.
     E colei che non dorme è mia sorella,
Sotto cui guardia stan libere e tute
Queste mie figlie mute,
60Che son dal mondo, misere!, sbandite. —
Io che conobbi l’una e l’altra stella,
Sollicitudo madre di Virtute,
Ed alla soda cute


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