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GIOSUE CARDUCCI

nel 1302 insieme con ser Petracco e con l’Alighieri. Seguitò le fortune de’ Bianchi, ed era nell’esercito d’Arrigo VII contro Firenze. In una canzone di messer Goro d’Arezzo, poeta guelfo, vista dal Trucchi, s’induce la patria a pregare Sennuccio di non volere essere co’ barbari a straziare la madre che tanto l’ama e l’onora. E il rimprovero sotto forma di preghiera è meritato pur troppo: ma quel che dice dell’amore potea bene il Guelfo lasciarlo da parte. Inchino a credere che si accenni alla morte d’Arrigo nella canzone, da noi ammessa nella nostra scelta, Da poi ch’i’ ho perduto: e il saluto che il poeta manda a Franceschino Malaspina mostra aver anch’egli, come Dante e Cino, esperimentata la ospital cortesia di quella gente onrata che si fregia del pregio della borsa e della spada1. La canzone è scritta fuori d’Italia; forse in Provenza, dove potè recarsi subito dopo la morte di Arrigo, quando il padre del Petrarca; e dove dimorò anche dopo che il favore di Giovanni XXII e l’intercessione del cardinal Gaetano legato in Toscana gli ottennero nel 1326 dalla signoria di Firenze la remissione del bando per viam et modum oblationis: la qual condizione, da poi che non rimpatriò mai, pare, come già Dante, reputasse non dover accettare. In Avignone conobbe il Petrarca, che lo amò e gl’indirizzò tre sonetti in cui lo mette a parte de’ suoi dolori e speranze e una lettera latina scherzosa2: e forse fu de’ famigliari del cardinale Giovanni Colonna, ch’egli in un sonetto al Petrarca, dove pur gli notifica il dolor misto d’ira di madonna Laura per la lontananza del suo poeta, chiama signor nostro. Nel 1349 morì molto vecchio in quella che l’amico suo chiamava Babilonia occidentale.

E amico del Petrarca meritava di essere, per la gentilezza del suo comporre se non della vita, Matteo Frescobaldi, giustamente annoverato dal Crescimbeni «tra quelli che, sebbene alla toscana poesia non diedero l’essere, non di manco, perchè finirono di pulirla e nobili-

  1. Dante: Purg., VIII.
  2. Petrarca: Rime, p. 1, sonetti 76, 77, 207, edizione Marsand; Epist. famil., IV, 14.

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