In fino a Dario con gli suo’ tesori!
Fidandosi costui ne’ vani errori,
Sconfitto fu da Alessandro Magno,
Il qual di tutto il regno ebbe guadagno. 25Quanti re vinse e quanto regno tenne,
In fin là dove e’ venne
Tanto signore insuperbendo a morte!
Antipatro le sorte
Gli diede del velen con falsi fregi: 30Po’ venne ’l suo sotto diversi regi.
E non vivendo essi con virtute,
Tolta loro Antïochia dai Romani,
Po’ Siria e tutto ciò ch’avìen perdero.
Quant’ebbe Roma tempo di salute, 35Dimanda Macedòni ed Affricani
Per l’universo e ciascheduno impero.
Mentre che crebbe quel Comune altero,
Fu sempre di virtù capo e colonna;
Tanto che la sua madre fu tal donna 40Che ’l mondo quasi avea nelle sue braccia.
Poi, come volse faccia
E ’l vizio crebbe e la virtù fu vinta,
Sua forza ebbe la pinta:
Ed è rimasa, come ciascun vede, 45De’ padri antichi sua cattiva erede.
Non dee dunque alcun vivere ignorante,
O vuol re o signore, o vuol Comune;
Chè per Comune dico ciò ch’io parlo.
O vago sito! o figliuol d’Atalante 50Che desti il nome al loco ove ciascune
Strane nazione vollono onorarlo!
O primo Iano! qual maligno tarlo
Ha le tue porte sì rose e diserte,
Che sempre son per rimanere aperte? 55O fumo, o vento, o fior di spinosa erba!
O abitazion superba,
Che mai non vuo’ veder maggior nè pare!
Ciascun signoreggiare
L’un l’altro cerca, sicchè in ogni terra 60Pace non è, ma divisioni e guerra.