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RIME

XXII


     Fortuna avversa del mio amor nimica,
Che poss’io più? che dietro a lungo affanno,
3Sperando aver riposo, ho doppio danno.
     Quando la vaga stella che m’accese
D’oscuro mar m’aveva tratto e scorto
6Con una navicella presso a porto,
     Vento si volse; e ’n parte m’ha condotto,
Ch’i’ son gittato a’ scogli, ed ella ha rotto.




XXIII


     Nel mezzo già del mar la navicella
Tra l’orïente e l’occidente è giunta,
3Che mi mena a fedir in scura punta
     Col vento tempestoso: e quella stella
La qual fedel mi fece, che più forte
6Affretta sua giornata, è la mia morte.
     Lasso! natura forze non le dà
Che mai per tempo ella dia volta in qua.




XXIV

Morale


     Poi che virtù fa l’uom costante e forte,
A virtù corra chi vuol fuggir morte.
     Che val fuggir quel che sempre s’appressa
E che ci guida ogn’ora a mortal fine?
5Corre la nostra vita e mai non cessa,
In fin che giugne all’ultimo confine.
Chi più combatte contro a tal ruine,
Più tosto è vinto e più s’appressa a morte.


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