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ANTONIO PUCCI |
E più mi loderei, se questa donna
Fusse nel core in verso di me punta
Dell’amorosa punta
104Di quel quadrel che accese il cor d’Elèna,
O pur ch’ella sentisse quella pena
Ch’infiammò Dido del troiano Enea,
O quella di Medea
108Che fe a Giason acquistar tanto onore.
E, se quest’esser non può, i’ priego Amore
Che certa faccia lei della mia doglia,
E che le piaccia e voglia
112Saper quanto le son servo fedele:
Ed ella, che già mai non fu crudele,
Dolce, benigna, con un lieto aspetto,
Spero che mi darà qualche diletto.
(Questa e l’antecedente furono pubblicate per nozze a cura di G. Arcangeli, Prato, Alberghetti, 1852; le abbiamo rivedute sul codice magliab.)
III
Lasso, che ’l tempo l’ora e le campane
Che ogn’or col suon mi danno nella mente
Mi fanno rimembrar quanto sovente
4A morte vanno le potenze umane.
E penso, lasso!, sera notte e mane
Come si fugge ogni tempo presente,
E veggo che per certo egli è niente
8Ciò che desïan nostre menti vane.
Corre per forza come pinto strale
Dal nascer questa vita a dar nel segno
11Di quella, che nïun centra lei vale.
Dunque che fa nostro misero ingegno?
Vanitas vanitatum monta e sale,
14L’alma è sommersa, e ’l corpo è fatto indegno.
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