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GIOVANNI BOCCACCI

     Et è sì lor per continova usanza
Il sol leggier, che ciascuna più lieta
60È sotto lui che ’n altra dimoranza:
     Avvegna che quand’ei già caldo vieta
Il cibo più, col mio suon le contento,
63Cui ciascheduna ascolta mansueta.
     Io guardo lor sollecito dal vento
E nella notte vegghio sopra loro,
66Alla salute di ciascuna attento.

ACATEN


     A me non cal vegghiando far dimoro
Nè sampogna sonar; chè per sè sola
69Diletto prende ognuna in suo lavoro.
     Nè non mi curo s’alla mia parola
Non ubbidiscon subito presente,
72Sol ch’io me n’empia la borsa e la gola.
     Com’io le guardo a chi ben le pon mente,
Le tue veggendo, e ’l numero ne prende,
75All’avanzar mi fa più sofficiente;
     In che la cura nostra più s’accende
Che ad aver poca gregge e vivace
78D’onde non tra’ si quanto l’uom vi spende.
     Che dirai qui? Or non parla ma tace
Alcesto al mio cantar, però che vero
81Conosce quello, e già per vinto giace.

ALCESTO


     Il tuo parlare è falso e non sincero,
Perch’io non taccio nè credo esser vinto,
84Ma vincitor di qui partir mi spero.
     Tu hai il nostro canto in ciò sospinto,
Chi è più ricco e chi più mandra tira;
87Dove di miglior guardia fu distinto
     Che cantassimo qui; la qual chi mira
Con occhio alluminato di ragione
90Vedrà chi meglio intorno a ciò si gira.


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