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GIOVANNI BOCCACCI

     Nè san sì forti aguale i ferri aguti
Degli volanti strai, fatti ferventi
27Da’ caldi raggi allor sopravvenuti.
     E ciascheduna cosa i blandimenti
Ora dell’ombre cerca. Ma tu sola,
30Lïa, trascorri per l’aure cocenti;
     E, trascorrendo, agli occhi miei s’imbola
La vista della tua chiara bellezza,
33Che sol di sè ogn’or più mi dà gola.
     Deh! lascia omai degli monti l’altezza;
Non infestar le selve e te con loro;
36Vieni a riposo della tua lassezza.
     Discendi a questi campi con quel coro
Piacevole, che teco in compagnìa
39Suol sempre far grazïoso dimoro.
     Vedi qui l’acque, vedi qui l’ombrìa
E i campi erbosi senza alcun difetto
42Fuor solamente che tu in essi sia.
     Adunque vieni; e l’usato diletto
Prendi come tu suoli, e gli occhi miei
45Lieti rifa’ col tuo giocondo aspetto.
     Perdona a’ tuoi affanni; a’ quai vorrei
Più tosto esser compagno che salire
48A far maggiore il numero de’ dèi.
     Perdona all’arco e a’ cani che seguire
Più non ti possono, et omai discendi
51A questi prati, o caro mio disire.
     Qui dilettevoli ore a trar contendi;
E ’l dilicato corpo all’ombre grate,
54Lieta posando, sopra l’erbe stendi.
     Qui, come suoli cantando altre fiate,
Ne vieni omai: perchè dimori tanto
57Di render te all’ombre disïate?
     Le tue bellezze degne d’ogni canto
Non posson esser tocche col mio metro
60Non degno a ciò; ma pur dironne alquanto.
     Tu se’ lucente e chiara più che ’l vetro,
Et assai dolce più ch’uva matura
63Nel cuor ti sento ov’io sempre t’impetro.


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