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RIME

     Per forza tira il mio debile ingegno
A cantar le tue lode, o Citerea,
9Insieme con le forze del tuo regno.
     Dunque, per l’alto cielo ove se’ dea,
Per quella luce che più ti fa bella
12Ch’altra a cui Febo del suo lume déa,
     Per lo tuo Marte, o grazïosa stella,
Per lo pietoso Enea, e per colui
15     Che figliuol fu di Mirra sua sorella
Cui già più amasti nel mondo ch’altrui,
Per la potenzia del tuo santo foco
18Nel quale acceso sono e sempre fui;
     Se ti sia dato lungo e lieto loco
Di dietro al sol nell’umile animale
21Che Europa ingannò con falso gioco;
     Metti nel petto mio la voce tale
Qual sente il gran poter della tua forza;
24Sì che ’l mio dire al sentir sia eguale,
     E più a dentro alquanto che la scorza
Possa mostrar della tua deitate,
27A che l’ingegno mio s’aguzza e sforza.
     E te Cupido per le tue dorate
Saette prego, e per quella vittoria
30Che d’Apollo prendesti, e per l’amate
     Ninfe (se alcuna mai di tanta gloria
Vantar potessi, ched ella piacesse
33Agli occhi tuoi, o nella tua memoria
     Siccome amata cosa loco avesse),
Che tu perdoni, alquanto allevïando
36Le fiamme nuove dal tuo arco messe
     Nel cor, che sempre notte e dì chiamando
Va il tuo nome per mercè sentire
39Di ciò che lui con disio tenne amando;
     Sì che io possa più libero dire,
Non vinto da dolor nè da paura,
42Quel che con gli occhi presi e con l’udire.
     E tu, più ch’altra, bella creatura,
Onesta vaga lieta e grazïosa,
45Donna gentil, angelica figura;


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