Pagina:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu/276

FAZIO DEGLI UBERTI

Ad una donna con canuta chioma,
La qual mi disse ch’era l’alma Roma.
20     Sol con amore un giorno a piccol passo
Della mia donna ragionando mossi.
Uscendo fuor de’ fossi
Tenni per un sentier d’un bel boschetto,
Per lo qual mille volte mi vo a spasso
25Purgando gli umor freddi secchi e grossi;
Poi montai gli alti dossi
De’ verdi colli per più mio diletto.
Quivi mi posi senza alcun sospetto
Tutto disteso in un prato di fiori;
30E poi a quelli odori
Sopra le braccia riposai la testa.
Così dormendo vidi in bruna vesta
Una donna venir tra più signori;
E quanti e quali onori
35Si posson far, tutti faceano a questa.
Ell’era antica solenne et onesta;
Ma povera pareva e bisognosa;
Discreta nel parlare e valorosa.
     Ne’ suoi sospiri dicea lagrimando
40Con voce assai modesta e temperata:
— O lassa isventurata,
Come caduta son di tanta altezza,
Là dove m’avean posto trïonfando
Gli miei figliuol, magnanima brigata!,
45Che m’hanno or visitata
Col padre loro in tanta gran bassezza.
Lassa!, ch’ogni virtù ogni prodezza
Mi venne men quando morîr costoro,
I quai col senno loro
50Domaro il mondo e riformârlo in pace
Sotto lo splendor mio, ch’ora si face
Di greve piombo e poi di fuor par d’oro.
Or di saper chi fôro
Arde la voglia tua sì che no ’l tace.
55Ond’io farò come chi satisface
L’altrui voler nella giusta dimanda,
E perchè di lor fama ancor si spanda.


—270—