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GIOTTO

O qual vuol sia, che povertà lo giunga,
Tosto ciascun fa punga
Di non voler che incontro gli si faccia,
30Che pur pensando già si turba in faccia.
     Di quella povertà ch’eletta pare
Si può veder per chiara esperïenza,
Che senza usar fallenza
S’osserva o no, non sì come si conta.
35E l’osservanza non è da lodare,
Perchè nè discrezion nè conoscenza
O alcuna valenza
Di costumi o virtudi le s’affronta.
Certo parmi grand’onta
40Chiamar virtute quel che spegne il bene;
E molto mal s’avviene
Cosa bestial preporre alle vertute,
Le qua’ donan salute
Ad ogni savio intendimento accetta:
45E chi più vale, in ciò più si diletta.
     Tu potresti qui fare un argomento:
— Il Signor nostro molto la commenda. —
Guarda che ben l’intenda;
Chè sue parole son molto profonde,
50E talor hanno doppio intendimento,
E vuol che ’l salutifero si prenda:
Però ’l tuo viso sbenda,
E guarda ’l ver che dentro vi s’asconde.
Tu vedrai che risponde
55La sua parola alla sua santa vita,
Ch’è podestà compita
Di sovvenir altrui a tempo e loco;
Che però ’l suo aver poco
Si fu per noi scampar dall’avarizia
60E non per darci via d’usar malizia.
     Noi veggiam pur col senso molto spesso
Chi più tal vita lode manca in pace
E sempre studia e face
Come da essa si possa partire:
65Se onori o grande istato gli è concesso,
Forte l’afferra qual lupo rapace;


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