Né valor val contr’a sua dura forza;
Ma, come vuole e a forza,
Ne mena ’l mondo sotto sua bandiera;
Né altro fugge da lei che laude vera.
L’ardita Morte non conobbe Nino,25
Non temèo d’Alessandro né di Iulio
Né del buon Carlo antico;
E, mostrandone Cesar e Tarquino,
Di quei piuttosto accresce il suo peculio
Ch’è di virtute amico:30
Sì come ha fatto del novello Enrico,
Di cui tremava ogni sfrenata cosa,
Sì che l’esule ben sarìa redito
Ch’è da virtù smarrito,
Se morte non gli fosse sta’ noiosa:35
Ma suso in ciel lo abbraccia la sua sposa.
Ciò che si vede pinto di valore,
Ciò che si legge di virtute scritto,
Ciò che di laude suona,
Tutto si ritrovava in quel signore40
Enrico, senza par, Cesare invitto,
Sol degno di corona.
E’ fu forma del ben che si ragiona,
Il qual gastiga gli elementi e regge
Il mondo ingrato d’ogni previdenza;45
Per che si volta senza
Rigor che renda il timor alla legge
Contro la fiamma delle ardenti invegge.
Veggiam che Morte uccide ogni vivente,
Che tenga di quell’organo la vita50
Che porta ogni animale:
Ma pregio che dà virtù solamente
Non può di Morte ricever ferita,
Perch’è cosa eternale.
A chi ’l permette amica, vola e sale55
Sempre nel loco del saggio intelletto,
Che sente l’aere ove sonando applaude
Lo spirito di laude,
Che piove Amor d’ordinato diletto,
Da cui il gentil animo è distretto.60