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CINO DA PISTOIA

Che fugge il saver nostro e quanto e come,
Selvaggia n’è 'l bel nome;
Nè fuor di sua proprïetà lo tiro,
S’ancor vo’ dir selvaggia, cioè strana
D’ogni pietà, di cui siete lontana.5
     Ma poi che pur, lontan di voi vedere,
Lasso!, convien che di mia vista caggia
La vostra mente saggia,
E ’l core sempre men potrà valere;
Prego che quel disdegno più non aggia,10
Che nacque allor che cominciò apparere
In me sì come fere
Lo splendor bel che de’ vostr’occhi raggia;
Et ogni mal voler vêr me ritraggia,
Se, guardando, noioso a voi so’ stato;15
E non vi sia in disgrato
Se da me parte, chiamando Selvaggia,
L’anima mia ch’a voi servente viene:
Voi siete ’l suo desìo e lo suo bene.
     Canzone, vanne così chiusa chiusa20
Entro in Pistoia a quel di Pietramala;
E giugni da quell’ala,
Dalla qual sai che ’l nostro signor usa;
Poi sì, se v’è ’l dritto segno. . . . . .
Guardami, come dèi, da cuor malvagio.25




LXXXVII


     Onde ne vieni, Amor, così soave
Con il tuo spirto dolce che conforta
L’anima mia, ched è quasi che morta,
     Vien tu da quella da lo mio cor have?5
Dillomi, che la mente se n’è accorta:
Per quella fè che lo mio cor ti porta,
Di’ se di me membranza le recave.


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