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RIME



LXXXVI


     Lo gran disìo, che mi stringe cotanto,
Di riveder la vostra gran beltate,
Mena spesse fïate
Gli occhi lontani in doloroso pianto:
5E di dolore e angoscia è tal pietate,
Che Amor devrìe venir da qualche canto
A voi, per fare alquanto
Membrar di me la vostra nobiltate;
Poi ch’è secondo la sua voluntate;
10Sì che quasi nïente in me risiede,
Vien d’ogni tempo e riede
Lo spirto, donna mia, ove voi state:
E questo è quel ch’accende più ’l disìo
Che m’uccidrà, tardando il redir mio.
     15Non so se Amor, per questa pietà sola,
In lei cangiato, a voi, madonna, vegna;
Chè pur ciò non m’insegna
Lo ’nnamorato spirito che vola.
Però con più dolor morte mi spegna:
20Ch’io fino; e voi credete a tal parola
Ch’è sì come una sola,
Che morto è quei cui ’l nome or vi disdegna.
Oh Dio!, che ’n vece della morta insegna
Qualche figura pinta in mio sembiante
25Poi v’apparisse avante!
Chè, quandunque di me pur vi sovvegna,
L’alma che sempre andrà seguendo Amore
Gioia n’avrà come fosse nel core.
     Quanto mi fora ben sopra ogni cosa,
30Se voi doveste sopra ’l mio martìro
Far lo pietoso giro
De’ bei vostr’occhi là ’ve Amor si posa!
Chè, come ho sempre desto ’l mio sospiro,
Vi chiamerei, di selvaggia, pietosa.
35Per ciò ched amorosa
Per me chiamarvi avuto ho un desiro;
Ancor che quando in vostra beltà miro



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