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CINO DA PISTOIA
LXXX
Con gravosi sospir traendo guai,
Donna gentil, dalla vostra rivera,
E contra ’l mio voler, mi dislungai:
Il dimorar peggio che morte m’era.
Ma per la speme del tornar campai,5
E tornai a veder voi donna fera:
Così non fossi io ritornato mai!
Deh male n’aggia quella terza sfera,
Perch’è contra di me cotanto strana!
Dolente me tapin! son io giudìo,10
Che nulla val per me mercede umana?
In che ventura e ’n che punto nacqu' io,
Ch’a tutto ’l mondo sete umile e piana
E sol vêr me tenete ’l cor sì rio?
LXXXI
Li più begli occhi che lucesser mai,
Oimè lasso!, lasciai:
Ancider mi devea quando il pensai.
Ben mi dovea ancider io stesso,
Come fe Dido quando quell’Enea5
Le lasciò tanto amore;
Ch’era presente, e fecimi lontano
Da quella gioia, che più mi diletta
Che nulla creatura.
Partirsi da così bello splendore!10
Dov’io tanto fallai,
Che non è colpa da passar per guai.
Oimè!, più bella d’ogni altra figura,
Perchè tanto peccai,
Che nulla pena mi tormenta assai?15
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