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vi notizia sulle novelle di visnusarma

cipe e dell’opera sua dotta e benefattrice molte cose si dovrebbero dire; ci basti ora il notare che, tra le altre opere belle onde promosse la cultura e la civiltà in Persia, fu anche quella del far tradurre nella lingua di Persia d’allora che era il pehlevico, i libri più reputati delle nazioni civili, e, tra le altre, le opere di Platone e di Aristotele e questo libro delle novelle indiane fatto venire in Persia con gran studio e fatica. La versione pehlevica ordinata dal gran re è andata perduta; ma su di essa, nell’ottavo secolo, un persiano di recente convertito alla religione di Maometto, cioè Abdallah Ibn ul-Muqaffa, adoperando la lingua dei conquistatori, poichè la Persia era venuta in mano degli Arabi, ne fece in arabo una sua celebre traduzione nota sotto il titolo di Libro di Calila e Dimna. Sono questi i nomi di due sciacalli che hanno gran parte nel primo libro delle novelle, Carataca e Damanaca in sanscrito, passati poi in pehlevico nella forma di Calilac e Damnac. Una versione siriaca del libro ci resta ancora, attribuita a Bud Periodeuta, del sesto secolo, e ce n’è una greca di Simone Seth antiocheno, dell’undecimo. Un rabbino di nome Joel, di cui nulla sappiamo fuor che il nome, tradusse in ebraico il Calila e Dimna, e dall’ebraico lo tradusse in latino, nel tredicesimo secolo, un ebreo convertito, Giovanni da Capua. Venuto così in Occidente, con mutato nome e con origine ignota, il libro fu presto e tradotto e rifatto, sotto titoli diversi, nelle nostre lingue, e però ne abbiamo versioni francesi, provenzali, spagnuole, italiane, inglesi, tedesche e fiamminghe. Anche l’opera del nostro Firenzuola: «La prima Veste dei discorsi degli animali», e l’altra del Doni: «La Filosofia morale», e l’altra ancora di anonimo: «Del governo dei regni sotto morali esempii di animali ragionanti fra loro», pubblicata a Ferrara nel 1585 dal Mammarelli, sono tardi e lontani rifacimenti dell’antico libro indiano. Del resto, il Boccaccio, il Poggio, il Bandino, il Bandello, il La Fontaine, hanno rifatto a brani senza saperlo, come dice l’Amari1, il libro di Calila e Dimna. Anche il divino Ariosto, quando componeva la lepida novella di Giocondo e di Astolfo, non sapeva che il soggetto gli veniva tanto di lontano. Quella novella infatti, che fu una delle più diffuse2, è la quinta del libro quarto nell’originale sanscrito.

L’originale sanscrito, invece, non fu noto in Europa che assai tardi, e soltanto in questo nostro secolo allorquando s’incominciò, da Tedeschi e da Inglesi in particolare, a studiare la letteratura sanscrita. Le novelle

  1. Introduzione al Solwan el Mota’ ossiano Conforti politici di Ibn Zafer, per M. Amari, pag. lx. Firenze, F. Le Monnier, 1851.
  2. Vedi su questa novella una eruditissima dissertazione del Prof. Francesco Pullè nel Giornale della Società Asiatica italiana, vol. IV, pag. 129.