E i sacerdoti
Che nulla sanno.
La casa perdesi
Per la rea prole;
L’indole egregia
Per le ree scuole.
Da scioperaggine
Stato perfetto,
Amistà è guasta
Da poco affetto.
Ebbrezza e incuria
Guastan pudore,
L’ir troppo a zonzo,
Guasta l’amore.
Gli aver sì perdono
Per poca cura;
Per non far nulla,
L’agricoltura.
Perciò da te, come avrai preso i voti, si dovrà dormire alla porta del chiostro, in una capanna di paglia. — L’altro disse: O reverendo, la prescrizione tua è comando; anzi, nel mondo di là, io ne avrò buon frutto. — Allora, fatta la convenzione per il dormire, Devasarma, come l’ebbe accolto presso di sè, con insegnamenti a voce e di scrittura lo condusse al grado di discepolo, e Asadabuti, con lavargli le mani e i piedi, con procacciargli foglie di sandalo e con altri servizi, molto lo rallegrò. Ma il monaco non si toglieva mai di sotto dall’ascella il denaro, e intanto, andando il tempo, Asadabuti così pensava: Oimè! come mai dunque costui non si fida di me? Forse che io, sia pure di giorno, l’ho da uccidere con qualche arma? o gli ho da dar del veleno? o l’ho da ammazzare alla maniera di un bue? — Mentre egli così pensava, da certo villaggio, per fargli invito, venne un discepolo di Devasarma ch’egli teneva in conto di figlio. Il quale disse: O reverendo, per la cerimonia del conferire il cinto bramanico, vengasi da te a casa mia. — Avendo udito ciò, Devasarma, con Asadabuti, d’animo lieto s’incamminò. Andando egli così innanzi, fu da loro incontrato un fiume. Vedendolo, Devasarma, levatosi di sotto all’ascella il denaro, depostolo ben ravvolto in mezzo alla sua tonaca, fatta l’abluzione e l’adorazione agli Dei, d’un tratto disse ad Asadabuti: O Asadabuti, (intanto che io torni come abbia fatto le mie occorrenze, si deve da te guardar con cura questa tonaca che è del tuo maestro spirituale. — Così avendo detto, se n’andò. Ma Asadabuti, come l’altro non fu più in vista, toltosi il denaro, se n’andò via in tutta fretta, e Devasarma, preso nell’attimo dalle virtù del suo discepolo, fidandosi bene di lui, postosi giù, mentre così stava, osservava la battaglia di due caproni in mezzo ad una mandra di pelo rossiccio. Urtandosi, per il gran furore, quel paio di caproni dopo che s’eran molto ritratti indietro, il sangue loro stillò in gran copia dalla fronte. Allora uno sciacallo, con lingua ingorda entrando in mezzo, leccava il suolo insanguinato della battaglia, e Devasarma, nel veder ciò, pensava: Oh! quanto è sciocco di mente cotesto sciacallo! se anche una volta egli capiterà là nell’urto di quei due, s’avrà la morte. Così penso io. — Ed ecco che appunto in quel momento, essendo entrato nel mezzo per ingordigia di lambire il sangue, nell’urlo del capo di quei due lo sciacallo cadde e morì. Devasarma allora, compiangendolo, incamminatosi verso il suo tesoretto, mentre