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libro quinto | 219 |
a casa, la gente che si pensò ch’egli fosse un Racsaso1, dopo averlo assalito con bastoni, con pietre e con altro, lo ammazzò. Perciò io dico:
Ma l’uom della ruota disse ancora: Ogni gente tuttavia che concepisce una incredibile e impossibile speranza, s’incammina a farsi beffare. E si dice bene a proposito:
L’uom dell’oro disse: Come ciò? - E l’altro disse:
Racconto. — Una volta abitava in un certo paese un Bramino di nome Svabavacripana, il cpiale aveva una pentola ch’egli aveva riempita di farine accattate limosinando e rimastegli dopo i suoi pasti. Avendo sospeso quella pentola a un dente d’elefante2 e postovi di sotto il suo letto, sempre e sempre la stava guardando; anzi, una notte, si mise a pensare: Ornai questa pentola è piena di farine. Se vi sarà carestia, me ne verrà un centinaio di monete. Con queste io mi comprerò un paio di capre. Allora, poichè esse partoriranno ogni sei mesi, me ne verrà una mandra. Dalle capre mi verranno vacche. Quando le vacche partoriranno, io venderò i vitelli. Così delle vacche avrò poi femmine di bufali; dalle femmine dei bufali, cavalle, e quando le cavalle partoriranno, me ne verranno molti puledri, dalla vendita dei quali mi verrà molt’oro. Con quell’oro mi procaccerò una casa con quattro logge. Allora un Bramino, venendo a casa mia, mi darà in moglie la bella figlia sua venuta ad età da marito. Da lei mi nascerà un figlio acni darò il nome di Somasarma. Quand’egli sarà in grado di venirmi sulle ginocchia, io, prendendomi un libro e sedendomi dietro la stalla de’ miei cavalli, starò a leggere. Somasarma allora, vedendomi, per desiderio di venirmi sulle ginocchia dal grembo di sua madre mi verrà vicino passando accanto alle zampe dei cavalli. Ma io, tutto in collera, griderò a mia moglie: Togli, togli su il bambino! Essa, occupata nelle faccende di casa, non udirà la mia voce, perchè io, levandomi su, le darò un calcio. — Egli allora, dominato così dal suo pensiero, lasciò andare un calcio per cui la pentola si ruppe ed egli restò tutto imbiancato dalle farine che v’erano dentro. Perciò io dico: