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200 | novelle indiane di visnusarma |
Il delfino disse: Come ciò? — E l’altro disse:
Racconto. — C’era una volta in un certo paese selvoso uno sciacallo di nome Mahaciaturaca, il quale, un giorno, trovò nella selva un elefante morto da sé. Vi si aggirò dattorno da tutte le parli, ma non poté lacerarne la dura pelle. Un leone, intanto, che andava qua e là per la selva, capitò in quel luogo. Quando vide ch’egli era giunto, lo sciacallo, con rispetto, chinando fino alla superficie del suolo il muso, con ambe le zampe davanti congiunte sulla fronte, gli disse: O signore, io che son colui che porta dinanzi a te il tuo scettro, qui sto a custodir per te quest’elefante. Perciò ne mangi nostro signore. Il leone, vedendolo così inchinato, rispose: Oh! io non mangio mai di animali stati uccisi da altri! Perchè è stato detto:
Io perciò ti fo grazia di cotesto elefante. — Avendo udito ciò, lo sciacallo tutto gioioso disse: Tutto questo è degno d’un monarca verso i suoi sudditi. Perchè è stato detto:
Quando il leone fu partito, ecco che sopravvenne una tigre. Al vederla, lo sciacallo pensò! Ohimè! ora che ho allontanalo con atti d’umiltà quello scellerato, come potrò allontanar costei? Costei è forte, nè si può impattarla con lei senza qualche astuzia. Perché è stato detto:
Anzi, anche chi è ornato d’ogni sorta di virtù si lascia sopraffare dall’astuzia. Ora, è stato detto:
- ↑ Si lasciano tutte le interpretazioni allegoriche e mistiche che possono avere questi versi e che si trovano riferite dal Fritze e dal commentatore indiano.