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libro quarto | 193 |
si recò in una città vicina. Là le guardie reali che s’aggiravano qua e là per impedir che qualcuno frodasse la gabella, adocchiarono quella corba che stava in capo alla donna. Gliela tolsero a forza e la portarono nel cospetto del re. il re allora la fece aprire e vide che dentro era lo storpio; la donna intanto era venuta fin là piangendo e seguitando a piedi i gabellieri. Il re domandò: Che è adunque tutto questo affare? — La donna rispose: Costui è mio marito, che, ammalato e maltrattato da una turba di congiunti, io, con mente presa dall’amore, mi son posto sul capo e ho menato qui nel tuo cospetto. — Udendo ciò, il re disse: O Bramina, tu sei la mia sorella. Ricevendo da me due villaggi in dono, godendo con tuo marito ogni sorta di beni, felicemente tu abiterai qui con noi. — Ma il Bramino, per volontà del cielo, da un buon uomo era stato tirato fuori dalla cisterna! indi, dopo essersi aggirato qua e là, era venuto a quella città. La malvagia femmina lo vide e però fece saper cotesto al re, dicendo: O re, il nemico di mio marito è giunto. — Il re gli decretò la morte, ma egli disse: O signore, da costei è pur stata presa da me qualche cosa e se tu ami la giustizia, tu fammi rendere quella cosa. — Quella disse: O signore, da me non è stato preso nulla. — Il Bramino disse: Rendimi la metà della vita che io ti ho ceduta con tre parole solenni. — La donna allora per timore del re, dicendo: Si, mi è stata data da lui la vita con le tre parole solenni,— restò morta. Il re, meravigliato, disse: Come ciò?_ Il Bramino allora gli raccontò tutto quanto era già accaduto, e però io dico:
Mi lascia senza avermi amato mai.
In donne oh! chi può avere alcuna fede? —
Il scimio seguitò a dire: Anche a proposito si racconta questa storiella:
Chi giumento o caval non è mai stato,
Puossi radere il capo anche se quella
Non è la fase di luna novella. —
Il delfino disse: Come ciò? — Il scimio allora incominciò a raccontare:
Racconto. — C’era una volta un re di nome Nanda, signore d’una terra all’estremo confine dell’oceano, a cui erano sgabello le corone fulgide d’una schiera di molti re, la cui gloria risplendeva nitida come il raggio della luna in autunno. Aveva un ministro di nome Vararuci che era versato in ogni sorta di dottrina e conoscitore di ogni verità. La moglie di costui, un giorno, s’era crucciata seco per questioni d’amore, nè si ammansava, per quanto fosse placata con ogni sorta di carezze dal marito. Il marito alfine le disse: Dimmi, o cara, in qual modo tu potrai placarti. Io certamente lo farò. — E quella allora s’indusse a dire: Se tu mi cadrai a’ piedi con la testa rasa, allora io mi volgerò a te tutta placata. _ Quand’ebbe fatto ciò, egli fu rimesso in grazia. Nella stessa maniera anche la moglie di Nanda che s’era adirata con lui, per quanto supplicata, non si placava. Egli allora le disse: lo, o cara, non posso vivere senza di te un solo istante. Cadendo a’ tuoi piedi, io ti prego di farmi grazia. — Essa
Pizzi, Novelle Indiane di Visnusarma. — 13. |