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libro quarto | 185 |
uscì dalla tana, abbracciò Gangadatta e s’incamminò con lui. Come poi per la via della secchia da attinger acqua ebbe raggiunto il fondo della cisterna, fu menato da Gangadatta in persona alla sua propria casa, e Gangadatta, come l’ebbe allogato in quella cavità, gli mostrò i suoi congiunti, i quali a poco a poco furono tutti divorati daini. Quando mancarono le rane, il serpente disse: Amico, non è restato alcun nemico tuo. Dammi adunque qualche altra cosa da mangiare poiché son stato menato qui da te. — Gangadatta disse: Tu hai fatto ciò che si doveva fare da un amico. Ora però tu te ne puoi andare per la via della secchia dell’attingere acqua. — Il serpente disse: O Gangadatta, tu non hai parlato giustamente. Come potrei io andar fin là? La tana mia ora è occupata da qualchedun altro. Perciò, poiché io starò qui, dammi tu ad una ad una alcuna delle rane della tua gente; se no, io le divorerò tutte. — Udendo questo, Gangadatta con mente turbata si mise a pensare: Oh! perché mai ho fatto io di menar qui questo serpente? Se io ora non posso impedirlo, egli divorerà tutte le rane. Intanto si suol dire bene a proposito:
Dubbio alcuno non è che per sé stesso
Un veleno mortifero vuol ber.
Perciò io gli darò ogni giorno una rana, anche sia essa de’ miei amici. Perchè è stato detto:
Ogni lor cosa e avere, così come fa il mare
Che il fuoco dell’inferno pur seguita a do-
[mare2.
Nè gli dà ciò che quei bramava in core,
Più tardi un moggio glien darà colmato.
E poi:
E adopra l’altra in le faccende sue,
Chè rovina total troppo è dolente.
Com’ebbe così divisato, gli abbandonava di consueto or questa or quella rana. Ma il serpente, come l’aveva divorata, se ne mangiava un’altra di nascosto di Gangadatta. Pertanto, assai bene si suol dire:
Così quei che l’aver dilapidò,
Di ciò che gli restò, non si dà cura.
Ma un giorno, poiché tutte le altre rane erano state divorate, fu divorato anche il figlio di Gangadatta che aveva nome Yamunadatta, e Gangadatta,