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libro terzo 173

Quanto poi all’avere io, o re, osservato il voto della più austera castità stando coi nemici, ciò appunto che tu hai detto, ho io esperimentato di presenza. Ora è stato detto:


Di sfrontato il costume pigliando
E l’onor dietro a sè postergando,
Suo vantaggio l’uom curi prudente;
Trascurarlo, è stoltizia patente.
Il sapïente, allora
Che toccagli sventura,


In collo il suo nemico
Di prendersi procura.
Un giorno, sterminata
Folla di rane ingente
Tutta fu da un immane,
Nerissimo serpente. —


Megavarna disse: Come ciò? — E Stiragivin incominciò a raccontare:

Racconto. — C’era una volta in un paese vicino al monte di Varuna un nero serpente di già matura età, di nome Mandavisa. Costui, un giorno, così pensava nella mente sua: Per qual modo adunque potrò io mai passarmela in maniera comoda e felice? — Recatosi allora ad una palude ov’erano molte rane, là si fece vedere a stare in tutta pace, quand’ecco che, intanto ch’egli stava cosi, una rana venuta fino al lembo dell’acqua così lo domandò: Babbo, perchè come prima non ti dài tu attorno per procacciarli da mangiare? — Disse il serpente: Cara mia, come posso io, misero e infelice, aver desiderio di mangiare? E la cagione è questa, ler sera, mentre io era in faccende per procurarmi da mangiare, ecco che mi fu veduta una rana. Io già spiccava il salto per afferrarla; ma essa, come m’ebbe veduto, per timor della morte, cacciatasi fra certi Bramini che erano immersi nella meditazione, sparì andando non so dove. Stando io là stordito della mente per cotesto, ecco che mi accadde di mordere in un dito, mentre se ne stava sulla sponda della palude, il figlio di un Bramino di nome Hradica. Il fanciullo morì all’istante. Io allora, dal padre di lui addolorato, fui maledetto così: «Poichè da te, o malvagio, fu morsicato il figlio mio innocente, per tale tuo misfatto diventerai tu il veicolo delle rane. Di tal vita, avuta soltanto per concessione mia, tu camperai». Però io qui appunto son venuto da voi per essere il vostro veicolo. — La rana fece saper tutto questo alle altre rane, e le rane tutte, liete dell’animo, andando riferirono tutto ciò al loro re di nome Gialapada, il quale pure, circondato dai suoi ministri, pensando fra sè così: Oh! meraviglia! — in gran fretta saltò fuori della palude e montò al sommo della cresta del cristato Mandavisa. Le altre rane, secondo il grado, montarono tutte insieme sul dorso. A che tante parole? Quelle tutte che non trovarmi posto sul dorso del serpente, gli corsero dietro a piedi, e Mandavisa per sollazzarle faceva lor vedere diverse maniere di camminare, onde Gialapada, tutto contento del ricevere tal soffregamento per il corpo, gli andava gridando:

Tale non è l’andar sull’elefante,
Sul cavallo, sul carro od in lettiga,
Quale è l’andar sul dorso a Mandavisa! —


Ma il giorno che seguì, Mandavisa incominciò a camminare adagio adagio. Vedendo ciò, Gialapada gli disse: Perchè mai oggi, o caro Mandavisa,