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10 novelle indiane di visnusarma

l’avanzarsi, il tenersi tranquillo, l’alleanza, la mala fede. — Carataca disse: Ma come sai tu che nostro signore è preso da paura? — E l’altro disse: Ben si può riconoscere! E che? Intanto, è stato detto:


Dalle bestie pur s’intende
Ogni voce che sia detta1,
E cavalli ed elefanti
Traggon seco la carretta
Come spinti siamo avanti
Ma la gente di sapere


La parola anche non detta
Facilmente intende e sa,
E ha per frutto sapïenza
D’ogni gesto che altri fa,
La perfetta intelligenza.

E poi:

Dagli atti, dai gesti,
Andando, parlando,
Degli occhi dai segni,


Da quei della bocca,
L’interno pensiero
Si afferra, si tocca.

Io adunque, tornando presso quello spaventato, come avrò scacciato la sua paura e l’avrò fatto mio col potere della mia sapienza, avrò toccata la via per diventar ministro. — Carataca disse: Tu non sai le regole dello stare in corte; come dunque tu potrai farlo tuo? — E l’altro disse: Come mai io non so le regole dello stare in corte? Anzi, tutta quella dottrina morale che da me si è udita, quando mi trastullava sulle ginocchia di mio padre, da certi sapienti che presso di lui si radunavano e me l’andavano insegnando, s’è tutta impressa nel cuor mio come la quintessenza delle regole dello stare in corte. Intanto, s’ascolti questo:


     Tre quelli son che sfruttano la terra
Aureo-fiorente,
L’uom di valore, il dotto, e chi alla corte
È servïente.
     Volto il servire al ben del suo signore
Veracemente intendere si dè;
Per questa porta sola, e non per altra,
Il sapïente accostisi ad un re.
     Non serva il saggio a chi non ne conosce
Le virtù egregie, ch’ei non ne avrà frutto
Come da steril campo, anche se arato.

Anche se dell’avere
Orbo e de’ suoi soggetti,
Quei che servigi merta,
Si onori e si rispetti.
Verrà il sostentamento
Sempre da lui, qual frutto,
Sebben di lungo tempo
Al termine ridutto.


Sebben, vinto dalla fame,
Come tronco immobil sta
A disseccarsi,
Col suo ingegno il proprio ed atto
Cibo il saggio ben farà
A procacciarsi2.
Ha in odio il servo
Il tristo sere
Che aspro favella.
Ma chi non sa
Chi merta o no
Servigi e onori,
Se stesso, oh! come
Non odierà!
Ma quel prence appo cui sen vanno i servi
Affamati nè trovano ristoro,

Fuggir si dee come d’arca3 un arbusto,
Sebben sempre di fior, di frutti onusto.

Come verso il suo prence, ei4 si comporti

  1. Cioè intendono la voce del padrone.
  2. Servendo al principe.
  3. Albero indiano, arka, adoperato in medicina, ma pericoloso per certe sue qualità.
  4. Chi va a servire in corte.