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libro terzo | 151 |
Il Bramino gli rispose con ira: Ohe! sei cieco tu che una capra dici essere un figlio morto? — E l’altro rispose: O reverendo, non t’adirare! Io ho parlato per ignoranza. Tu però vattene come più ti piace. — Ma poi, come fu andato ancora un poco per la selva, il terzo malandrino venutogli incontro con altre vesti e accostatosi a lui, gli disse: Oh! ciò non va bene! Tu ti porti in collo un asino! Deh! mettilo giù! Ora, è stato detto:
Perciò mettilo giù intanto che nessun altro non ti ha ancora veduto. — Il Bramino allora, persuasosi che quella capra fosse un Racsaso1 tutto spaventato la gettò a terra e fuggì a casa, e quei tre, riunitisi e toltasi la capra, si diedero con molto piacere a mangiarsela. Perciò io dico:
E poi, si suol dire egregiamente:
Alle parole molte — e varie de’ birbanti, D’ospite alle parole — delle femmine ai pianti,Di servitor novello — agli atti, alle maniere, |
Anzi non c’è modo di resistere ai deboli quando sono molti. Ed è stato detto:
Megavarna disse: Come ciò? — E Stiragivin incominciò a raccontare:
Racconto. — Dimorava già presso un formicaio un nero serpente di gran corpo, chiamato Atidarpa. Egli, un giorno, lasciata la via consueta per uscir dalla tana, prese ad uscirne per un pertugio stretto. Mentre egli vi si strascicava dentro, per la grossezza del corpo e l’angustia del pertugio, volle il destino che gli si facesse nel corpo una ferita. Allora, dalle formiche, che accorsero subito all’odore del sangue uscito dalla ferita, egli fu oppresso e tormentato. Tante lo mordono, tante l’ammazzano. Alla fine, tutto coperto da infinite piaghe per la moltitudine delle formiche, straziato per tutto il corpo, Atidarpa si mori. Perciò io dico:
- ↑ Spirito maligno e demoniaco.